Attraversare l’esperienza del lutto perinatale è un percorso complesso, doloroso e sofferto, che ha un impatto destabilizzante all’interno della coppia genitoriale e della famiglia, in cui un evento tanto imprevisto e imprevedibile prende forma. 

Molti genitori, anche a distanza di un lungo periodo da tale accadimento, riportano vissuti di abbandono e grande trascuratezza in cui, loro malgrado, hanno versato in momenti estremamente significativi quali la diagnosi di morte intrauterina, il parto e le dimissioni dalla struttura ospedaliera. 

Come affrontare un lutto perinatale

Affrontare il lutto perinatale significa dover gestire ed elaborare un’esperienza con una portata notevole per i moltissimi livelli e significati fisici, emotivi e relazionali, che è possibile intravedere e di cui occorre tenere conto. In primis la morte di un figlio, per quanto prematura, è qualcosa che viene percepito dai genitori come non naturale e al di fuori da ciò che ci si attenderebbe dal corso dei fatti della vita, da come “dovrebbero” andare le cose. Questo inevitabilmente porta chi viene coinvolto in un tale evento a fare i conti con il proprio modo di rapportarsi al pensiero della morte e al ruolo che hanno avuto nella propria vita eventuali perdite dal passato, partendo dal presupposto che talvolta i neogenitori si trovano per la prima volta a confrontarsi con un’esperienza di un lutto, che li coinvolge in prima persona ed in maniera tanto diretta e profonda. 

Inoltre la perdita prematura di un figlio significa il venire meno di un progetto di vita famigliare, di un investimento dal valore inestimabile, poiché un bimbo inizia a venire al mondo nella mente e nel cuore dei propri genitori, ancora prima del concepimento, quando nella coppia si fa strada il desiderio di diventare una famiglia. È proprio da lì che prendono il via le fantasie, i pensieri, le azioni e i comportamenti concreti per investire in questo sogno di passare da due a tre, a quattro.. Inoltre le ecografie contribuiscono a rendere “visivo” e concreto il rapporto con il proprio piccolo, molto prima della nascita, contribuendo a ridurre e modulare il divario tra il bambino “immaginato” e quello reale, che ha una sua propria identità fisica, con cui la mamma entra in contatto in modo profondo per tutto il periodo della gravidanza. Al momento della nascita si verifica tuttavia il primo vero incontro, che è importante curare anche e soprattutto qualora il bimbo abbia smesso di vivere.

La morte di un bimbo è sempre e in ogni caso una perdita che colpisce le mamme e i papà nel nucleo più intimo della loro identità e dunque certamente è fonte di un dolore che deve poter essere espresso ed esternato, senza la pretesa di poterlo consolare ed arginare, specie nei momenti prossimi all’accadimento. Molte mamme, anche a distanza di tanti anni, riferiscono di non avere mai dimenticato il momento della diagnosi e quello che è avvenuto nel tempo immediatamente successivo alla stessa. 

La morte di un bambino in gravidanza o in epoca perinatale è sempre un evento inaspettato e improvviso, indipendentemente da un’eventuale diagnosi di gravidanza a rischio e i genitori sono emotivamente e anche fisicamente impreparati, quando si trovano a dovere fare i conti con una contingenza di una tale portata. Ecco dunque che le primissime reazioni non possono che essere di shock, confusione e blocco fisico e mentale, quasi come se si vivesse in una dimensione “sospesa”, al di fuori del tempo e dello spazio, che crea una sorta di barriera tra sé e il mondo esterno. Accade dunque che, pur consapevoli di ciò che è accaduto, i genitori, e le mamme in particolare, fatichino a mettere in parola il dolore e ciò che stanno attraversando, essendo totalmente assorbiti dalla tragicità dell’evento. Credo che questo sia il momento in cui chi sta a fianco deve assumere un atteggiamento di assoluto rispetto delle modalità personali di vivere e passare attraverso il dolore e la sofferenza, che nei primi momenti non può che essere silenziosa. 

È altrettanto importante comunque fornire ai genitori la possibilità di pensare e decidere quello che ritengono essere il modo migliore per sé stessi, per il proprio bambino e per eventuali fratelli e famigliari di affrontare il frangente, che stanno attraversando, prendendosi il tempo necessario e valutando le differenti opzioni disponibili. 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta