La definizione di ipocondria

Il termine ipocondria deriva dal greco “hypo” sotto e “chondros” sterno, ovvero sotto lo sterno, che fa riferimento al tipo di trattamento risalente ai tempi di Ippocrate, quando l’ipocondria veniva curata come un malessere dello stomaco e della mente, responsabile di problemi digestivi, oltre che di una profonda melanconia.

L’ipocondria o disturbo d’ansia per la salute comporta la presenza nella persona di una eccessiva e infondata preoccupazione per la propria salute, che conduce chi ne soffre ad attivarsi oltre misura per qualsiasi sintomo fisico, anche di limitata entità, che viene vissuto come indicatore di una patologia in atto. Inoltre, la persona non si limita a sperimentare vissuti di disagio emotivo, ma pone in essere tutta una serie di comportamenti volti a individuare ulteriori segni clinici della propria condizione di malato (es. ispezionare continuamente il corpo alla ricerca di segnali di una patologia) oppure evita strenuamente luoghi o situazioni connesse alla cura della salute fisica (es. studi medici e ospedali), non sottoponendosi a controlli, quando ve ne sarebbe la necessità e incorrendo dunque nel rischio di arrecare, paradossalmente, un grave danno alla propria salute. Per effettuare una diagnosi di ipocondria i sintomi devono essere presenti da almeno 6 mesi. Il DSM 4 riporta che l’ipocondria ha una prevalenza che va dall’1,3% al 10% nella popolazione e non rileva la presenza di differenze di genere in ordine alla manifestazione del disturbo. 

Sintomi e caratteristiche del disturbo

I sintomi dell’ipocondria sono riconducibili alle seguenti dimensioni:

  • Presenza di una paura del tutto infondata di avere una malattia grave, per cui ogni elemento di malessere viene interpretato come segno premonitore di una condizione patologica;
  • Le tematiche ipocondriache hanno un impatto considerevole in numerose aree della vita della persona (lavoro, relazioni sociali e affetti);
  • I vissuti emotivi prevalenti sono di forte frustrazione e in alcuni casi può emergere una concomitante patologia depressiva di apprezzabile entità;
  • Può accadere che l’individuo, sulla scia di un’ansia difficilmente governabile, ponga in atto condotte potenzialmente lesive della propria integrità fisica (ad esempio, assunzione di farmaci impropria e senza indicazione medica);
  • In molti casi la persona non è consapevole di soffrire di un disturbo psichico e dunque non è disponibile ad accedere a un trattamento orientato in questo senso.

Naturalmente è possibile parlare di ipocondria solo dopo che il paziente si è sottoposto ad un’approfondita valutazione medica, che abbia escluso la presenza di una condizione clinica in grado di spiegare gli eventuali sintomi fisici riferiti. La diagnosi può essere posta anche qualora sia presente una eccessiva ansia in associazione ad una condizione medica di limitata entità. 

Un ulteriore elemento connotante la persona ipocondriaca è il persistere di vissuti intensi di ansia, anche dopo aver ricevuto rassicurazioni da parte del personale medico circa l’assenza di patologie. Le preoccupazioni ipocondriache possono essere relative a funzioni corporee (es. battito cardiaco, sudorazione, peristalsi), alterazioni fisiche di lieve entità (es. raffreddore, piccole lesioni) o sensazioni fisiche vaghe (es. “cuore affaticato”, “dolore alle vene”). Inoltre le ansie e i timori possono essere relativi a numerose funzioni corporee o apparati, nello stesso momento o in momenti diversi oppure la preoccupazione può essere incentrata esclusivamente su un singolo organo o una specifica patologia (es. cuore o malattie cardiache).

Ipocondria: le cause del disturbo

L’ipocondria è un disturbo complesso, nella cui genesi rientrano numerosissimi fattori e concause, per cui non è possibile fornire una lettura valida per tutti i pazienti. 

Certamente sappiamo che è una condizione d’ansia, generata da convinzioni errate della persona, che tuttavia arriva ad esperire sensazioni fisiche sgradevoli o dolorose, su cui non è facile intervenire per abbassare il livello di sofferenza. In generale l’ipocondria può essere una condizione clinica secondaria al disturbo da attacchi di panico o al disturbo d’ansia generalizzato, che inducono in diversi casi la persona a sviluppare una particolare suscettibilità ai segnali fisiologici corporei. 

Può accadere inoltre che l’ipocondria sia conseguente ad eventi traumatici, quali l’esposizione a maltrattamenti fisici o abusi sessuali, specie quando gli stessi sono reiterati nel tempo e accadono in momenti particolari dello sviluppo, quali l’infanzia. In questi frangenti la persona può esperire un particolare vissuto di vulnerabilità a livello fisico, che la induce a temere di essere affetta da gravi patologie fisiche anche in assenza di evidenze mediche.

Quando chiedere aiuto: come guarire dall’ipocondria?

La persona ipocondriaca può faticare molto a chiedere aiuto, proprio perché chi soffre a causa di questo disagio sovente ha poca consapevolezza del proprio mondo interno, dal punto di vista affettivo ed emotivo e dunque sarà maggiormente propensa a richiedere un intervento medico piuttosto che un trattamento di natura psicologica. E’ il caso, per esempio, di coloro che richiedono continuamente visite mediche e accertamenti, senza tuttavia riuscire a placare l’ansia e arrivare al cuore della propria sofferenza. 

Nel trattamento psicologico dell’ipocondria gli aspetti salienti a cui il terapeuta deve prestare attenzione sono l’ascolto delle sensazioni e delle emozioni del paziente, partendo da quelle corporee e l’attribuzione di un significato e un valore ai comportamenti, alle azioni e al sentire della persona. 

Naturalmente tra gli obiettivi della terapia psicologica con una persona che soffre di ipocondria troviamo il supporto nel ritrovare una maggiore serenità nell’approccio alla dimensione corporea, il sollevare l’individuo dalla continua richiesta di interventi medici, prevalentemente di natura diagnostica, ma quello che risulta cruciale è accompagnare il paziente in un percorso che lo conduca a riprendere in mano le redini della propria vita, aprendosi all’altro e facendosi carico del proprio star male in modo “creativo”.

 Può capitare che, al fine di offrire un intervento efficace, risulti necessario il coinvolgimento nel setting terapeutico dei famigliari o delle figure di riferimento del paziente, ma si tratta di un passaggio che viene eventualmente discusso e preso in esame nel contesto della relazione terapeutica con la persona che si trova a richiedere aiuto. Occorre infine tenere presente che chi soffre di ipocondria si fa portavoce di un malessere e di una condizione di sofferenza personale che deve essere accolta con estrema serietà e rispetto e che deve divenire il focus del percorso terapeutico.

Terapia e trattamenti

Fino agli anni ’80 non venivano riportate in letteratura indicazioni relativamente ai trattamenti maggiormente efficaci nella cura dell’ipocondria. Negli anni ’90 gli studi hanno mostrato come il meccanismo alla base dell’ipocondria fosse il medesimo sotteso agli altri disturbi d’ansia e dunque anche le terapie proposte sono andate nella direzione delle stesse impiegate per il trattamento dell’ansia patologica. Qualora il disturbo si mostri particolarmente pervasivo, è stata testata analogamente la validità di un intervento di supporto farmacologico, parallelo al percorso di psicoterapia. La farmacoterapia, in linea con il presupposto che alla base di una sofferenza di natura ipocondriaca vi siano importanti nuclei ansiosi e depressivi, prevede la somministrazione di ansiolitici e antidepressivi. Per quanto attiene alla psicoterapia è dimostrato come interventi terapeutici ad orientamento psicodinamico siano efficaci e funzionali per il trattamento dell’ipocondria. La terapia psicoanalitica si focalizza sulla relazione con il terapeuta, che svolge al contempo una funzione di contenimento delle dinamiche emotive e di supporto nello stimolare una maggiore consapevolezza di sé e del proprio mondo interno. 

Depressione e ipocondria

La sofferenza depressiva e l’ipocondria presentano alcuni nuclei sovrapponibili ed infatti accade di frequente che queste due diagnosi si presentino nello stesso momento della vita di una persona oppure in frangenti differenti del proprio percorso di vita. Tra gli elementi ravvisabili in entrambi i quadri diagnostici in questione troviamo una propensione al pessimismo, ma anche la presenza di profonde angosce di morte e vissuti di solitudine, che sovente compaiono nelle verbalizzazioni dei pazienti. Nella depressione, in particolare, sono presenti una significativa deflessione del tono dell’umore e uno scarso investimento nelle cose della vita, nelle relazioni, negli affetti, nelle attività piacevoli e nella dimensione lavorativa. Si tratta di un aspetto quest’ultimo che senz’altro è rilevabile anche in buona parte dei pazienti ipocondriaci che, presi dalla loro preoccupazione ossessiva nei riguardi dei segni fisici premonitori di pericolose patologie, faticano ad investire le loro energie in dimensioni differenti della propria esistenza e in alcuni casi sviluppano, analogamente ai pazienti depressi, una forte tendenza all’inattività e al disinteresse per il mondo che li circonda.

Come comportarsi con un conoscente ipocondriaco

I famigliari, gli amici, i colleghi di lavoro di una persona ipocondriaca devono in primis tenere a mente che, benché talvolta la sofferenza del loro caro sia significativa e inevitabilmente solleciti dei tentativi di porvi un argine, non è possibile svolgere nei suoi riguardi un ruolo terapeutico. Questo però non vuol dire che non si possa fare nulla! Intanto una buona modalità da adottare consiste nel supportare la persona nel trovare contenuti su cui conversare e concentrare la propria attenzione differenti rispetto alle questioni inerenti la salute fisica, gli eventuali sintomi di una patologia, le visite mediche. Evitare questi argomenti è consigliabile anche qualora i nostri tentativi vadano nella direzione della rassicurazione (es. “Non è nulla”, “Perché ti preoccupi? Anche il dottore ha detto che stai bene!”): non solo infatti non serviranno a nulla, ma potrebbero essere addirittura controproducenti, perché potrebbero sollecitare la persona a fornirci ulteriori evidenze del proprio star male, andando a rendere ancora più granitiche e impenetrabili le loro convinzioni irrazionali.

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta