Che differenza c’è tra ansia e attacchi di panico?

L’ansia, in quanto tale, non è da intendersi come un disturbo, ma come una dimensione sottostante ad una varietà di forme di disagio emotivo e psicologico.  Nella tradizione psicoanalitica, l’ansia viene descritta come associata a motivazioni e a stati differenti. L’ansia dunque può essere relativa a vissuti di colpa in relazione a standard morali interiorizzati, può essere conseguente ai tentativi della persona di affermare sé stessa oppure può essere generata dal timore di perdere l’amore e l’approvazione da parte delle figure significative (es. i genitori, il partner, i figli). 

Analogamente, l’attacco di panico, di per sé, non è un disturbo, ma un quadro clinico che può comparire in diversi disturbi, oltre a quello di panico propriamente detto. Per fare la diagnosi di disturbo di panico è necessario che gli attacchi siano inaspettati e ricorrenti e che almeno uno di essi sia seguito da un periodo di tempo (minimo di un mese) in cui vi è preoccupazione per la sua ricomparsa, con una conseguente alterazione significativa del comportamento dell’individuo. In caso contrario, l’attacco di panico non è da intendersi come una patologia in sé. 

Cosa succede quando si ha un attacco di panico? Come riconoscerlo?

Gli attacchi di panico possono manifestarsi con numerosi sintomi neurovegetativi, somatici e psicosensoriali  e possono accompagnarsi a disturbi cognitivi e del comportamento. Sono quindi molto diversi tra loro sia per intensità che per il modo in cui emergono. E’ tuttavia possibile riconoscere alcuni aspetti fondamentali, comuni a tutti gli attacchi di panico e che permettono di identificarli:

  • Comparsa improvvisa e inaspettata dei sintomi, con raggiungimento del picco di intensità in pochi minuti (la cosiddetta comparsa “a ciel sereno”). In altri casi, la comparsa può avvenire nel contesto di uno stato o di un’aspettativa ansiosa;
  • Durata breve (da pochi minuti a massimo un’ora);
  • Vissuto di impotenza e perdita di controllo, con la concomitante paura di impazzire o di morire. Spesso la persona non è in grado di collegarla ad eventi, esperienze, pensieri o vissuti precedenti.
  • Sovente vi è una fase post critica con astenia, senso di confusione e di sbandamento, vertigini.

Il DSM-5 elenca 13 sintomi psico-fisici, inquadrabili nel modo seguente:

  • Psichici (paura o terrore di perdere il controllo, di impazzire o morire);
  • Neurovegetativi e somatici (dispnea e senso di soffocamento, dolore toracico, palpitazioni, tachicardia, cardiopalmo, vertigini, parestesie, vampate, brividi di freddo, sudorazione, tremori);
  • Psicosensoriali (depersonalizzazione, derealizzazione, deja vù, jamas vù, ipersensibilità alle stimolazioni nervose e acustiche).

Raramente vi possono essere anche sintomi comportamentali come il blocco o la paralisi da autocontrollo e la fuga. Il disturbo di panico, da un punto di vista clinico, deve sempre essere compreso nel contesto della personalità e del momento di vita di colui che ne soffre, che comprensibilmente sperimenta questo disagio con una considerevole angoscia. 

Come gestire un attacco di panico

Il primo passaggio fondamentale per chi si trova, in un dato momento della propria vita, a doversi confrontare con la comparsa di episodi di attacchi di panico è quello di chiedere aiuto. I professionisti della salute mentale sono infatti gli specialisti deputati a supportare la persona nell’apprendere le modalità migliori per far fronte e contenere le crisi. In linea generale comunque è possibile attenersi ad alcune indicazioni di massima, utili nella gestione dei momenti di maggiore criticità:

  • Imparare a riconoscere i sintomi: è un passaggio fondamentale poiché aiuta la persona nel distinguere i sintomi della crisi di panico da altre possibili problematiche (per es. l’attacco cardiaco) e già questo può contribuire a contenere le manifestazioni sintomatiche;
  • Monitorare gli episodi: quando si sono verificate le crisi? Dove si trovava la persona? Che cosa stava facendo? Non sempre è possibile, ma in alcuni casi può accadere di evidenziare alcune analogie fra i diversi episodi;
  • Apprendere l’utilizzo di tecniche di respirazione, utili a contenere e ridurre la componente fisica e somatica del panico. 

Quali sono le cause di un attacco di panico?

Una delle teorie più accreditate, in merito alle cause alla base dell’insorgenza di un disturbo di panico, è la presenza nei pazienti di una vulnerabilità neurofisiologica predisponente, che interagisce con specifici fattori stressanti ambientali nella genesi del disturbo. A questo proposito Kagan, nel 1988, aveva identificato in un certo numero di bambini una caratteristica temperamentale innata, che aveva definito inibizione comportamentale a ciò che non è noto. Questi bambini tendono a essere facilmente spaventati da tutto ciò che è loro estraneo all’ambiente e, al fine di affrontare la propria paura, fanno affidamento sulla protezione dei genitori. Tuttavia, crescendo, imparano che i genitori non sempre possono essere disponibili per proteggerli e rassicurarli e questo suscita nei bambini forti vissuti di rabbia, rivolti in primis nei riguardi delle figure genitoriali, a cui conseguono intensi sensi di colpa, in un circolo vizioso da cui è difficile uscire. Analogamente, gli studi effettuati nell’ambito della teoria dell’attaccamento, hanno evidenziato negli adulti affetti da disturbi d’ansia uno stile di attaccamento problematico. 

Cura del disturbo di panico: terapie e interventi

Vari resoconti clinici su pazienti trattati con successo mediante percorsi di psicoterapia psicoanalitica indicano come le terapie ad orientamento psicodinamico possano avere una significativa efficacia nel trattamento del disturbo da attacchi di panico. In alcuni casi i meccanismi di difesa, messi in atto dai pazienti, sono funzionali a disconoscere alcuni effetti negativi, quali la rabbia. Può quindi essere necessario che lo psicoterapeuta aiuti la persona a divenire consapevole della sua ansia riguardo all’espressione della rabbia e al bisogno correlato di difendersi da questa emozione. E’ importante altresì sollecitare il paziente ad esaminare nel dettaglio i fattori che scatenano gli attacchi di panico e a cercare di collegare le ansie, inerenti ad una possibile catastrofe, con gli eventi della propria vita. In questo modo si lavorerà al fine di incrementare le capacità di mentalizzazione della persona, che sarà così in grado di vedere come l’attacco di panico sia legato alla rappresentazione di qualcosa, piuttosto che una realtà. Nei casi più seri può essere necessario prevedere una combinazione di terapia farmacologica e psicoterapia. 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta