L’adolescenza è un momento del processo di vita, dove il ragazzo è chiamato a rispondere alla domanda “chi sono?” e a confrontarsi con “situazioni e desideri inediti, che portano ad una nuova considerazione su di sé” (Minolli, 2005). L’identità non è però un adeguamento passivo a modelli o prescrizioni esterne, ma il riconoscersi progressivo dell’adolescente nel proprio essere, nelle potenzialità e nei limiti personali e nella scoperta progressiva di sé.

In adolescenza, uno dei principali compiti dei ragazzi è quello di raggiungere una separazione e un’autonomia emotiva dai genitori, attivando una ricerca attiva e positiva di momenti o situazioni in cui fare a meno degli adulti. Larson riporta come i comportamenti solitari aumentino progressivamente durante la vita della persona, tanto da raddoppiare in frequenza con il passaggio dall’infanzia e dall’adolescenza all’età adulta; spesso lo stare da soli non è una dimensione temuta o subita passivamente, ma al contrario è una scelta volontaria ed un’esperienza ricercata attivamente, che costituisce una risorsa preziosa nel processo di crescita dei ragazzi.

Durante l’adolescenza il conflitto tra genitori e figli risulta una dimensione centrale per lo sviluppo del ragazzo, che lo traghetta verso l’acquisizione di una sempre maggiore indipendenza. Compito fondamentale dei genitori non è dunque quello di evitare o eliminare i moti di sfida e di trasgressione del ragazzo, ma contenerli, dando loro un confine che garantisca la sicurezza del ragazzo e promuova al contempo l’assunzione di un senso di responsabilità personale.

Occorre, inoltre, tenere presente che gli adolescenti vivono emozioni intense, forti, difficili da gestire in primis per loro stessi. Ecco perché spesso i ragazzi possono apparire nervosi, agitati, arrabbiati, con un umore molto altalenante. L’adulto può fornire un aiuto prezioso nel non giudicare, criticare o rimproverare il proprio figlio per le sue reazioni emotive, che in quanto tali devono essere legittimate, aiutandolo per quanto possibile a declinarle in comportamenti che non mettano in difficoltà il ragazzo stesso o le altre persone attorno a lui. Per poter essere realmente di supporto ai nostri figli il primo passaggio, essenziale per poi comprendere quali comportamenti adottare, è imparare a leggere il significato che sta dietro determinati comportamenti, che ad una lettura superficiale possono apparire immaturi, frutto dell’indolenza o della rabbia. Spesso, al contrario, dietro un gesto di sfida o una trasgressione, c’è il tentativo, il più delle volte inconsapevole, di comprendere fino a che punto è possibile spingersi e quando invece occorre fermarsi, di interiorizzare cosa è davvero importante e cosa può essere lasciato andare.

Un ulteriore aspetto, che sovente diventa elemento di discussioni e talora anche di accesi conflitti tra genitori e figli adolescenti, è il rendimento scolastico, che può essere altalenante, con cali di profitto che possono fortemente preoccupare gli adulti di riferimento. Strettamente collegato a questo elemento è l’utilizzo di dispositivi tecnologici e social network che, qualora sia molto esteso a livello di tempo trascorso sui dispositivi, può a sua volta generare litigi e porre all’attenzione di tutti la necessità di stabilire dei limiti, quasi mai ben accetti da parte del ragazzo.

Infine, l’adolescenza è un’età che, per una sua connotazione intrinseca, è proiettata verso il futuro e questa, se da una parte è una componente in grado di generare entusiasmo, voglia di fare e di attivarsi nella costruzione della propria realtà personale e sociale, può essere al contempo una dimensione all’origine di forti paure, ansie e incertezze, che l’adulto deve imparare a legittimare, condividere e accettare, in primis dal canto suo, per poter poi accompagnare il figlio in un analogo percorso di rielaborazione, che possa creare spazi nuovi e differenti all’interno dei quali mettersi in gioco.

Mettersi in ascolto di un adolescente significa in primo luogo mantenere vivi dentro di noi adulti la curiosità e l’interesse per i nostri figli, per le loro emozioni, i loro pensieri, i timori e le preoccupazioni. Ma significa anche rispettarne i tempi e le esigenze, evitando il più possibile di mettere in campo giudizi e prese di posizione, che finirebbero per chiudere un canale comunicativo, che a questa età già di per sé risulta difficile da instaurare e mantenere nel tempo. Ricordiamoci che, mentre nell’infanzia eravamo noi il principale punto di riferimento per i nostri bambini, oggi non è più così. Per un adolescente il gruppo dei pari riveste un valore centrale e il bisogno di appartenenza è qualcosa di naturale, che a volte porterà il ragazzo a cambiare gusti, interessi, modi di vestire, sino al punto che ci sembrerà di non riconoscere più nostro figlio per come lo avevamo vissuto sino a quel momento. Di fronte ad un cambiamento così repentino è normale sentirsi confusi, ansiosi o preoccupati ed è proprio per questo motivo che anche noi in quanto adulti siamo chiamati ad entrare dentro nel processo di cambiamento che sta riguardando i nostri figli, rivedendo il nostro ruolo genitoriale in modo flessibile e creativo.

 

 

Dott.sa Erika Marchetti

Psicologa Psicoterapeuta