Inquadramento diagnostico e diagnosi differenziale
Secondo il DSM-5 le tre caratteristiche principali associate a una diagnosi di ADHD sono la disattenzione, l’impulsività e l’iperattività.
La prevalenza dell’ADHD è calcolata intorno al 5% nella popolazione generale e le osservazioni cliniche tendono a indicare che il disturbo è in aumento.
La diagnosi di ADHD è circa 10 volte più frequente nei maschi e questo sembra orientare verso l’eventuale sussistenza di una componente genetica, al di là delle possibili influenze ambientali (Gallucci, 1995; Swanson, 1998).
I criteri internazionali per la diagnosi di ADHD richiedono un’età di esordio dei sintomi inferiore ai sette anni, la presenza della sintomatologia in almeno due contesti di vita (per esempio, a casa e a scuola) e una compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.
Sono, inoltre, previsti alcuni sottotipi del disturbo, a seconda che sia prevalente la disattenzione, l’iperattività o che entrambe siano presenti (in quest’ultimo caso si parla di ADHD di tipo combinato).
Al fine di operare un corretto inquadramento diagnostico, è necessario prestare molta attenzione alla diagnosi differenziale rispetto a disturbi quali il ritardo mentale, i disturbi d’ansia, i disturbi dell’umore e i disturbi generalizzati dello sviluppo.
La ricerca ha altresì documentato una famigliarità del disturbo, per cui è frequente trovare bambini con ADHD e genitori con una storia di disturbi simili o, più in generale, di disturbi del comportamento.
L’iperattività nell’adhd
Nel quadro clinico dell’ADHD, l’iperattività si può esprimere attraverso una serie di comportamenti caratteristici tra i quali troviamo:
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Muovere con irrequietezza mani e piedi e dimenarsi sulla sedia;
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Lasciare spesso il proprio posto a sedere;
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Girovagare e saltare ovunque in modo eccessivo;
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Mostrare difficoltà nel giocare e dedicarsi ad altre attività in modo tranquillo;
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Dare spesso l’impressione di essere sotto pressione, come mossi di continuo da un motore, che non può essere spento;
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Parlare troppo.
Adhd: comorbilità ed evoluzione del disturbo
Gli studi scientifici hanno messo in luce una frequente comorbilità del disturbo da deficit di attenzione e iperattività e altri disturbi da comportamento dirompente, disturbi dell’umore, disturbi d’ansia, disturbi dell’evacuazione, disturbi da uso di sostanze (insorgenti nel periodo adolescenziale) e disturbi dell’apprendimento e della comunicazione. Questi ultimi sovente emergono non soltanto come conseguenza del deficit attentivo, ma anche in relazione alla goffaggine motoria e a segni neurologici minori, che impattano sulle abilità di scrittura e di lettura (Sandberg, 1996; Vio 1999).
Nei casi più gravi o non trattati, in periodi delicati come quello adolescenziale, sono possibili complicazioni dovute a un’evoluzione dell’ADHD in concomitanza a disturbi della condotta, comportamenti antisociali o marcatamente devianti e abuso di sostanze, che possono condurre alla strutturazione di quadri di disturbo antisociale di personalità o disturbo borderline di personalità.
I sintomi legati all’iperattività tendono ad attenuarsi o a scomparire con la crescita, mentre il deficit attentivo e l’impulsività tendono a persistere più a lungo, anche in età adulta.